Nel panorama mediatico odierno, il mondo dello sport, da sempre fucina di eroi e icone di grandezza e performance inarrivabili, sta vivendo una profonda trasformazione nella sua narrazione interna. Se un tempo la figura dell'atleta era sinonimo di invulnerabilità fisica e mentale, oggi assistiamo a un fenomeno crescente: l'aperta confessione di stress, ansia e depressione da parte di campioni acclamati. Un’evoluzione che, se da un lato apre a una maggiore consapevolezza sul benessere mentale, dall'altro rischia di scivolare in una "cattiva narrativa" della fragilità, distorcendo il significato profondo di queste manifestazioni.
L'eco delle parole del tennista Alexander Zverev, campione russo-tedesco, risuona potente e disturbante. "Non provo niente né se vinco né se perdo", ha ammesso con una disarmante onestà, aggiungendo a volte di "non avere voglia di svegliarsi". Frasi che, lette attraverso la lente della psicoanalisi, delineano i contorni di una classica fase depressiva reattiva, una condizione che, nel contesto della sua storia e del suo stile di vita, assume un significato ben preciso. La sorpresa, tuttavia, non sta tanto nel contenuto di queste dichiarazioni – sintomi noti a chiunque viva un periodo di forte pressione – quanto nel fatto stesso che vengano pronunciate da un atleta di quel calibro. E, ancor più problematico, nel modo in cui vengono immediatamente captate e brandizzate come "fragilità", quasi a sminuire la sua statura sportiva e umana.
È qui che si annida il paradosso di un'epoca che, pur avendo finalmente elevato il benessere mentale alla pari di quello fisico, fatica ancora a comprenderlo, o forse, più semplicemente, ad accettarlo pienamente. Perché mai l'ansia dovrebbe essere etichettata come "fragilità" mentre un infortunio al ginocchio o una distorsione alla caviglia no? Perché associare la depressione a una debolezza, mentre un calo fisico è visto come un normale inconveniente di percorso? Questa distorta narrazione genera un immaginario errato – o viceversa – che confonde i piani e mistifica la realtà.
Ansia, stress e depressione non sono affatto "fragilità". Sono, al contrario, sintomi: meccanismi di adattamento che il nostro organismo mette in atto per cercare di gestire un sistema che, evidentemente, è diventato insostenibile per l'essere umano. Lo stress è la nostra prima risposta adattiva ai cambiamenti e agli stimoli esterni; l'ansia è una reazione più generalizzata e cronica a input eccessivi; la depressione, infine, emerge come risposta alla cronicizzazione del problema e alla conseguente perdita del sense of agency, ovvero la percezione di poter esercitare controllo e potere sulla propria realtà. Questo è vero per chiunque, ma assume un'intensità particolare per atleti che, come Zverev o Simone Biles, sono costantemente sotto i riflettori e sottoposti a pressioni estreme.
Come possiamo definire "fragilità" le risposte a domande così estreme? L'attuale società proietta sui personaggi pubblici, e in particolare sugli sportivi, un'immagine di perfezione e performance robotica, dimenticando che dietro il campione c'è un'anima, con le sue complessità e i suoi limiti intrinseci. Ed è proprio qui che risiede la vera forza dell'essere umano. La richiesta di tratti psicopatici – distacco emotivo, assenza di empatia, sadismo – che l'ambiente odierno sembra a volte premiare per "funzionare", non ha nulla di positivo. Questi non sono segni di forza, ma sintomi di patologie che, mentre i primi "sintomi" (ansia, depressione) vengono pagati direttamente da chi li prova, i secondi si riversano sugli altri, spesso in modo invisibile.
È giunto il momento di costruire una narrativa corretta. Quando sportivi e celebrità oggi espongono le loro "nuove" difficoltà, quelle che riguardano sempre meno il corpo e sempre più l'anima, non stanno mostrando fragilità. Stanno esibendo una profonda forza, la forza di un'anima che ha il coraggio di farsi vedere nella sua autenticità, rifiutando di conformarsi a un ideale disumano di perfezione. È un atto di potenza che ricorda a tutti noi che l'umanità, con tutte le sue sfumature, è la nostra più grande risorsa.
Fonte Msn.com